DA.MA 2024 ©
La displasia congenita delle anche è anomalia congenita dello sviluppo dei componenti dell’articolazione coxofemorale, che porta alla progressiva perdita dei rapporti degli elementi dell’articolazione nei primi mesi di vita. Predilige il sesso femminile (M:F=1:5), spesso bilaterale e talvolta può associarsi ad altre malformazioni come il piede torto congenito.
L’eziologia è multifattoriale. I fattori ereditari determinano un insufficiente sviluppo della cavità cotiloidea che è poco profonda e con il tetto sfuggente. A queste caratteristiche si somma la lassità della capsula articolare. Questi fattori contribuiscono a rendere l’articolazione instabile. Contribuiscono inoltre fattori ambientali: oligoidramnios, presentazione podalica, primogenitura, uso di particolari fasciature che mantengono le gambe addotte ed estese.
L’anamnesi familiare positiva è il primo segno di sospetto soprattutto nei soggetti di sesso femminile. La diagnosi può essere fatta immediatamente alla nascita, nei primi mesi di vita o con la deambulazione. Alla nascita può essere fatta una diagnosi clinica o ecografica. Le manovre cliniche (manovre di Ortolani e di Barlow) con il passare del tempo dopo la nascita tendono a negativizzarsi. Altri segni di sospetto sono: asimmetria delle pliche cutanee delle cosce e delle natiche e atteggiamento di lieve rotazione esterna dell’arto. Nei primi mesi di vita: limitazione dell’abduzione ad anche flesse, accorciamento dell’arto affetto nel passaggio dalla posizione spina a quella seduta mantenendo le ginocchia estese (segno di Savariaud). Dopo deambulazione: a paziente supino con anche e ginocchia flesse il ginocchio del lato affetto si trova ad un livello inferiore (segno di Galeazzi), risalita del gran trocantere, arto atteggiato in extrarotazione, limitazione dell’abduzione, zoppia durate la deambulazione (segno di Trendelemburg).
L’ecografia delle anche consente di fare diagnosi precoce e va eseguita entro la 12ª settimana di vita extrauterina. Il "metodo di Graf" si sviluppa attraverso quattro fasi principali (ricerca della sezione frontale standard, giudizio morfologico, giudizio quantitativo, stadiazione). Sulla base di questi parametri l'anca può essere definita "normale", "displasica" o "decentrata". Questa metodica può essere utilizzata come strumento diagnostico e come strumento di controllo durante il trattamento.
La radiografia del bacino consente di fare diagnosi tardiva di displasia dell'anca durante l'epoca precedente alla deambulazione ma non in epoca neonatale.
Alla nascita, in forme non gravi, è sufficiente utilizzare il tutore divaricatore che mantiene l’anca in posizione centrata rispetto al cotile. Nei casi più gravi in cui la testa è lussata può essere necessario porre l’arto inferiore del neonato in trazione (a cerotto) per alcuni giorni. Quindi si esegue la riduzione della lussazione in sala operatoria in anestesia generale. Si esegue l’artrografia iniettando nella capsula articolare del mezzo di contrasto con dell’aria (artrografia a doppio contrasto), in modo tale da “verniciare” la testa del femore e verificare sotto controllo radiografico che la riduzione sia stabile e concentrica. Infine si confezione un apparecchio gessato pelvi-podalico con anche flesse ed abdotte. L’apparecchio gessato viene rinnovato ogni mese per 3 mesi, successivamente il posizionamento di un tutore divaricatore per altri 6 mesi completerà il trattamento. Nei casi in cui non è possibile ottenere una riduzione stabile e concentrica è necessario intervenire chirurgicamente per liberare il fondo dell’acetabolo da quelle strutture che impediscono la riduzione. Nei casi osservati nei primi anni di vita si rendono necessari interventi chirurgici invasivi come osteotomie del bacino e osteotomia varizzante del femore.
Infezione causata generalmente da batteri piogeni, raramente da forme tubercolari, favorita da un abbassamento delle difese immunitarie del bambino.
Nei neonati la diagnosi è spesso difficile per compromissione delle condizioni generali che mascherano segni tipici quali febbre e leucositosi marcata. Segni indicativi sono l’atteggiamento di difesa dell’arto inferiore in flessione e rotazione esterna e dolore alla mobilizzazione. Nei bambini più grandi, in età di deambulazione, compare la zoppia. Gli esami strumentali quali ecografia e RMN mostrano tendenza alla sublussazione dell’anca e versamento intra-articolare notevole. Nella fase degli esiti, la radiografia può mostrare riassorbimento osseo destruente.
Il trattamento deve essere rapido, praticando una artrotomia o artrocentesi per svuotare la raccolta purulenta e impostando un trattamento antibiotico adeguato. Eventuali esiti andranno trattati in base al tipo e alla gravità.
Artrite ad insorgenza acuta, ad eziologia ignota, che colpisce i bambini da 3 a 7 anni di età.
La sintomatologia spesso insorge in concomitanza o successivamente ad un episodio influenzale (presunta origine virale) con zoppia e dolore alla mobilizzazione dell’anca in assenza di leucocitosi marcata e alterazioni scheletriche. Il versamento articolare può essere dimostrato con l’ecografia o con la RMN. La diagnosi differenziale va fatta con l’artrite settica e il Morbo di Perthes.
La sinovite transitoria dell’anca si risolve spontaneamente e la sintomatologia può essere contenuta con comuni farmaci anti-infiammatori.
Il morbo di Legg-Calvè-Perthes (MLCP) è una comune patologia acquisita dell’anca che si presenta nei bambini tra i 4 e 12 anni di età, prevalentemente di sesso maschile. È una alterazione di tipo necrotico-degenerativa, ad eziologia incerta, che colpisce il nucleo epifisario prossimale del femore. Bilaterale nel 10% dei casi, ha un decorso lento, tra i due e i tre anni.
Le cause del MLCP sono sconosciute anche se sono state proposte diverse teorie. La teoria attuale è quella di una sofferenza vascolare della epifisi prossimale del femore.
I bambini presentano dolore lieve, di solito correlato all’attività fisica e alleviato dal riposo. Frequentemente il bambino ha dolore ricorrente e zoppia “di fuga”. A volte il dolore è riferito alla coscia o al ginocchio, e questo può essere motivo di ritardo nel trattamento. Limitazione dell’anca nei movimenti di abduzione e intrarotazione e ipotrofia del quadricipite sono segni obiettivi classici. Gli esami di laboratorio sono negativi ma possono essere richiesti per escludere altre patologie con un quadro sintomatico simile (es. artrite settica, osteomielite).
Il quadro radiografico supporta la diagnosi ed è utile nel follow-up, ripetendo l’esame ogni 6 settimane-3 mesi dalla prima indagine.
Si possono identificare 4 stadi radiografici:
1. iniziale (settimana iniziale);
2. frammentazione (6-12 mesi);
3. riossificazione (1-2 anni);
4. rimodellamento (5 anni).
Nel primo stadio si può osservare solo l’allargamento dello spazio cartilagineo ed un piccolo nucleo di ossificazione della testa femorale.
Indipendentemente dalla classificazione radiografica, il fattore prognostico più importante è l’età del paziente al momento della diagnosi. I bambini al di sotto dei 5 anni guariscono senza un trattamento specifico. L’età di 8 anni sembra essere lo spartiacque, mentre oltre i 10 anni si hanno scarsi risultati clinici e radiografici con o senza trattamento. Il fine del trattamento è quello di mantenere la serie di movimenti dell’anca e la sfericità di una testa che sia bel coperta dall’acetabolo. Il tutore Atlanta-Scottish Rite è attualmente quello più utilizzato in quanto meglio tollerato rispetto ai precedenti. L’immobilizzazione in tutore va dai 6 ai 18 mesi. L’esclusione dal carico non è indicata. Per quanto riguarda il trattamento chirurgico, non esistono delle chiare indicazioni, anche se bisogna considerare alcuni aspetti sociologici e fisiologici prima dell’ntervento. Sono stati descritti numerosi interventi, tra cui possiamo citare la miotenotomia del muscoli adduttori dell’anca, l’osteotomia varizzante di femore e l’osteotomia pelvico-innominata.
Studi a lungo termine dimostrano che l’80% dei pazienti è attivo e libero da dolore per 20-40 anni dopo la comparsa dei sintomi, ma otre i 40 anni la funziona deambulativa è ridotta marcatamente, e oltre la sesta decade può svilupparsi una significativa patologia degenerativa dell’anca.
Un adolescente obeso con una zoppia ha una epifisiolisi finchè non viene provato il contrario. (Herring)
L’epifisiolisi è una patologia dell’età adolescenziale (10-16 anni di età) caratterizzata da un cedimento strutturale dello strato di mineralizzazione della cartilagine di coniugazione presente tra la testa ed il collo femorale. L’epifisiolisi è prevalente nei maschi in sovrappeso ed è bilaterale nel 25-30% dei casi.
L’eziologia è sconosciuta. Sono state ipotizzate diverse cause tra cui traumi, fattori meccanici, processi infiammatori, cause genetiche (familiarità, frequente riscontro in alcune sindromi genetiche) e disordini endocrini (distrofia adiposo-genitale, ipotitoidismo, concomitanza con terapia con GH). Le forze di taglio del peso corporeo determinano lo scivolamento (epifisiolistesi) relativo della epifisi prossimale del femore rispetto alla metafisi.
Viene classificata secondo l’insorgenza in:
pre-epifisiolisi;
acuta (improvvisa con sintomatologia da 2 settimane o meno);
cronica (insorgenza oltre le 2 settimane con evidenza radiografica di rimodellamento da callo osseo);
riacutizzata (sintomi da oltre un mese con esacerbazione dopo trauma di minima entità).
L’entità dello scivolamento viene classificato:
grado I o prescivolamento (non vi è scivolamento. Il radiogramma in anteroposteriore evidenzia un ispessimento della cartilagine di accrescimento);
grado II (lo scivolamento della testa non supera 1/3 della ampiezza del collo femorale);
grado III (lo scivolamento è compreso fra 1/3 e 2/3);
grado IV (lo scivolamento è superiore ai 2/3).
Il sintomo principale è il dolore che insorge in sede inguino-femorale con irradiazione al ginocchio omolaterale. A volte può esservi dolore riferito solo al ginocchio rendendo l’interpretazione più difficile. L’arto è atteggiato in adduzione e rotazione esterna. L’articolarità è limitata è dolente. La zoppia è più o meno marcata. L’evoluzione è generalmente lenta, ma a volte può presentare un peggioramento acuto per cui il paziente non riesce a comminare. Le complicanze più temibili delle forme acute sono la necrosi epifisaria con deformazione della testa femorale e la condrolisi della cartilagine articolare che comportano invalidità e predisposizione alla coxartosi precoce.
L’esame radiografico, in proiezione antero-posteriore e assiale, può mostrare da alterazioni modeste tipiche di una pre-epifisiolisi fino al completo scivolamento della testa. In genere non sono necessari ulteriori approfondimenti diagnostici.
Il trattamento prevede immediato scarico dell’arto affetto con bastoni canadesi ed il trattamento chirurgico di stabilizzazione della epifisi prossimale. Nelle forme croniche non si devono tentare manovre di riduzione che potrebbero causare la necrosi epifisaria e la condrolisi. Si stabilizza la testa con una o 2 viti metalliche cervico-cefaliche (epifisiodesi in situ). Nelle forme acute con scivolamento la procedura chirurgica è eseguita in regime di urgenza, con riduzione dello scivolamento, eventuale decompressione della cavità articolare, e con contestuale epifisiodesi. L’epifisiodesi va mantenuta dai 3 ai 12 mesi, fino a chiusura della cartilagine di coniugazione. Il carico può essere concesso parziale con bastoni canadesi per 2 settimane, successivamente progressivo fino al recupero totale come tollerato. Eventuali esiti andranno trattati in base alla tipologia specifica.
Il termine scoliosi deriva dal greco skolios (torto, contorto). È una deformità laterale e rotatoria stabile e non modificabile spontaneamente della colonna vertebrale. È più frequente nel sesso femminile.
Si tengono conto diversi aspetti:
• in rapporto alla genesi si distinguono in idiopatiche, congenite, acquisite;
• in rapporto all’età di insorgenza si distinguono in neonatali, infantili, giovanili, raggruppabili nel termine Early-onset Scoliosis, e dell’adolescenza;
• in rapporto alla sede della curva primaria si distinguono in lombari, dorso-lombari, combinante dorsali e lombari, dorsali, cervico-dorsali;
• in rapporto all’entità della curva si distinguono in lieve (10°-20°), moderata (20°-40°), grave (oltre 40°).
Sono numerose le cause che posso determinare la scoliosi, ma nel 75% dei casi rimane sconosciuta e si parla in questo caso di scoliosi idiopatica.
Fra le scoliosi di eziologia nota ricordiamo:
- scoliosi congenite, dovute a malformazione dei corpi vertebrali (es. emispondilo);
- scoliosi neurogene, conseguenti a lesioni del sistema nervoso centrale (es. paralisi cerebrale infantile);
- scoliosi miogene e neuromuscolari, dovute a miopatie e distrofie muscolari (es. Distrofia muscolare di Duchenne).
Quando la scoliosi e riconducibile ad una alterazione della statica del bacino (es. dismetria arti inferiori), si parla si scoliosi statica.
La malattia insorge ed evolve gradualmente senza dolore. La scoliosi non è dolorosa ma predispone in età adulta all’artrosi. La diagnosi di scoliosi è essenzialmente clinica supportata da esami diagnostici. Esame obiettivo:
Vanno ricercati in posizione eretta:
- alterazione del normale parallelismo tra le linee che uniscono le spalle (linea bisacromiale) e le creste iliache (linea bisiliaca);
- slivellamento di una scapola rispetto all’altra.
Quando la scoliosi è lieve non ci sono grosse deformità, vanno valutati i triangoli della taglia (angolo descritto dal profilo esterno del tronco e dal profilo interno degli arti superiori lasciati cadere spontaneamente) che sono asimmetrici ed evidenziano una concavità maggiore di un fianco rispetto all’altro.
La scoliosi si valuta meglio facendo flettere il paziente in avanti a ginocchia estese. In questa posizione compare una diversa altezza della schiena piegata (gibbo dal lato della convessità). Tramite un riferimento orizzontale si può valutare l’altezza del gibbo.
Va valutata anche la lunghezza degli arti inferiori. Va valutata la rigidità per comprendere se la curva è correggibile o meno invitando il paziente a flettersi lateralmente o con test dell’elongazione antigravitaria (sollevando il paziente si valuta se la curva si normalizza o meno).
L’esame radiografico della colonna in toto sotto carico nelle proiezioni antero-posteriore e latero-laterale permette di completare la diagnosi clinica e permette la valutazione della curva tramite il calcolo del valore angolare della curva (angolo di Cobb) tra prima ed ultima vertebra della curva. Il radiogramma infatti ci permette di valutare anche le deformazioni dei corpi vertebrali, l’altezza delle teste femorali per evidenziare una eventuale dismetria degli arti inferiori, di valutare lo stato di maturità scheletrica osservando la presenza o meno del nucleo di ossificazione della cresta iliaca ed il suo stadio evolutivo, dalla sua assenza (Reisser 1) alla fusione con l’ala iliaca (Reisser 5). Può essere utile per valutare l’inizio della pubertà la valutazione di una radiografia della mano sinistra. La pubertà è il periodo in cui la scoliosi può aggravarsi più rapidamente ma è anche il periodo in cui a correzione è più agevole. La Risonanaza Magnetica Nucleare è indicata nei casi di scoliosi in cui sono presenti “red flags” come il dolore, curve ad ampio raggio o insorgenza precoce.
Le motivazioni al trattamento sono funzionali e preventive di un aggravamento tale da richiedere la correzione chirurgica:
- <20°: osservazione clinica ogni 6 mesi ed eventualmente radiografica;
- 20°-50° trattamento ortopedico con corsetti;
- >50° e dopo la crisi puberale: trattamento chirurgico dopo la maturazione ossea (artrodesi posteriore strumentata della colonna vertebrale.
Consiste in una accentuazione della normale curvatura dorsale del rachide. La cifosi dorsale fisiologica, misurata dal piatto superiore di T2 al piatto inferiore di T12, è normalmente compresa tra 20° e 40°. La classificazione comprende cifosi posturali, congenite, idiopatiche e osteocondrosiche. La diagnosi è clinica e radiografica. Il trattamento dipende dall’eziologia e dall’entità della curva, varia dalla ginnastica posturale, all’applicazione di corsetti, all’intervento chirurgico.
Rappresenta la deformità vertebrale più comune dopo la scoliosi idiopatica. Si localizza a livello dorsale e/o lombare e coinvolge generalmente 3-4 corpi vertebrali. È tipica dell’età adolescenziale (11-14 anni) ed è più frequente nel sesso maschile (2:1). Generalmente indolore, è caratterizzata dal progressivo incurvamento del dorso (dorso curvo giovanile) ed iperlordosi lombare di compenso.
I classici reperti obiettivi sono:
- aumento della cifosi dorsale o comparsa di una cifosi dorso-lombare
- in genere asintomatica, il dolore può essere riferito nella sede della deformità
- rigidità della deformità che si apprezza nel test di iperflessione del rachide (a differenza dell’atteggiamento cifotico che è sempre riducibile).
Per definire il Morbo di Scheuermann devono essere interessate dalla patologia almeno 3 vertebre in proiezione latero-laterale. Si osserva irregolarità e frammentazione delle limitanti vertebrali, ernie intraspongiose di Schmorl, cuneizzazione anteriore di più vertebre apicali, angolo di Cobb maggiore di 40°.
Il trattamento è incruento. Nelle curve parzialmente riducibili si applica un corsetto ortopedico antigravitario, cui si può associare la ginnastica di tipo posturale. Nelle curve rigide non riducibili si può applicare un corsetto gessato correttivo per 3 mesi, poi il corsetto ortopedico e la ginnastica posturale. Il trattamento chirurgico è raramente indicato. Per curve molto gravi (>50°-60°) non riducibili, resistenti al trattamento conservativo è indicata l’artrodesi vertebrale per via anteriore e posteriore.
Si parla di iperlordosi quando la deviazione del rachide a convessità anteriore è aumentata rispetto al normale. L’iperlordosi sia cervicale che lombare si associano spesso alla ipercifosi dorsale con finalità compensatoria. L’iperlordosi di grado notevole può essere anche secondaria a patologie congenite o acquisite delle ultime vertebre lombari come la spondilolistesi oppure possono associarsi ad altre patologie come la lussazione bilaterale delle anche e l’acondroplasia. La terapia è rivolta alla patologia di base.
È definita spondilolisi una interruzione dell’istmo vertebrale, ossia la porzione dell’arco posteriore della vertebra che unisce l’apofisi articolare superiore all’apofisi articolare inferiore. È definita spondilolistesi (olistesi=scivolamento) lo scivolamento anteriore di una vertebra rispetto a quella immediatamente inferiore. I maschi sono maggiormente affetti rispetto alle femmine (4-5% vs 2-3%).
Le teorie eziopatogenetiche riguardo la spondilolisi si incentrano su 2 fattori principali, la predisposizione congenita per minor resistenza dell’istmo, e i microtraumatismi ripetuti come avviene in alcuni sport che comportano ipersollecitazione del rachide in estensione o compressione. Peraltro può essere anche il risultato di un trauma unico. In base all’entità di scivolamento si distinguono 4 gradi: I grado, fino al 25%; II grado, dal 25% al 50%; III grado, dal 50% al 75%; IV grado, oltre il 75%. Lo scivolamento completo si definisce spondiloptosi.
Di solito, la spondilolisi e la spondilolistesi non non causano sintomi nei bambini, e vengono svelate, in molti casi, durante le visite richieste per sospette deformità posturali. Il dolore insorge più spesso durante la crisi puberale ed è prevalentemente di tipo rachialgico, solo occasionalmente riferito all’arto inferiore. I sintomi vengono aggravati dall’attività fisica intensa o dalle attività sportive, e vengono alleviati dal riposo. L’obiettività varia a seconda il grado di scivolamento. Uno scivolamento significativo causa una depressione palpabile a livello della spinosa della vertebra interessata, una limitazione della motilità della colonna lombare e la contrattura della muscolatura ischio-crurale. Nei casi più gravi, altri segni obiettivi sono l’assunzione di una postura lordotica, la verticalizzazione del sacro che fa assumere alle natiche un aspetto “a cuore”, l’andatura di tipo spastico definità “ondeggiamento pelvico” e l’alterazione dei riflessi spinali per compressione delle radici nervose. La scoliosi è relativamente comune in questi pazienti.
La chiave per la diagnosi è l’esecuzione di radiografie sotto carico del tratto lombosacrale in proiezione antero-posteriore, latero-laterale ed obliqua. Eventualmente posso essere richieste radiografie dinamiche in massima estensione e massima flessione. Può essere necessario ricorrere ad altri studi come TC, RMN e scintigrafia. Qualora si dimostrasse una tendenza allo scivolamento le radiografie vanno ripetute ogni 4-6 mesi.
Nelle spondilolisi asintomatiche o responsabili di lombagia occasionale non sono necessari trattamenti specifici oltre l’osservazione clinica periodica. Non si deve limitare l’attività sportiva, tranne quelle predisponenti (es. tuffi), se non provocano dolore. Nei casi di lombalgia frequente è consigliabile la ginnastica posturale. Se non bastasse, vi è indicazione all’intervento chirurgico di artrodesi vertebrale strumentata. Nelle spondilolistesi il trattamento varia in relazione a diversi fattori quali: età, sintomatologia e grado di scivolamento.
Il torcicollo è una deformità caratterizzata da una permanente deviazione laterale e rotatoria del capo. Si distinguono forme congenite (miogeno e osseo) e forme acquisite.
La forma più frequente di torcicollo congenito è il torcicollo miogeno, causato da una retrazione fibrosa monolaterale del muscolo sternocleidomastoideo. Si presenta con flessione del capo verso il lato affetto e rotazione nel verso opposto. L’incidenza è di 3/1000 nati, con distribuzione eredo-familiare, spesso associata a displasia congenita dell’anca e con il parto distocico. La teoria eziopatogenetica più accreditata attualmente sembra essere la teoria meccanica da abnorme posizione fetale nella cavità uterina. Obiettivamente si apprezza la deviazione laterale e rotatoria del capo, la consistenza fibrosa del muscolo sternocleidomastoideo allorché si tenti di correggere passivamente la deviazione, l’emiatrofia dello scheletro facciale (plagiocefalia o scoliosi facciale) e la eventuale scoliosi cervicale. L’ecografia è utile nel confermare la diagnosi clinica. La radiografia serve ad escludere anomalie ossee cervicali. Il trattamento deve essere precoce, prima che le alterazioni cranio-facciali diventino irreversibili, e consiste nella sezione del capo muscolare interessato e nella applicazione per 2 mesi di una minerva gessata in atteggiamento contrario alla deformità, da sostituire successivamente con un tutore. Successivamente la fisiochinesiterapia avrà un ruolo nella rieducazione motoria.
È un atteggiamento viziato del capo dovuto ad anomalie ossee delle vertebre cervicali. Le cause più frequenti sono: l’occipitalizzazione dell’atlante, l’emispondilia (mancato sviluppo di una emivertebra) e la malattia di Klippel-Feil (sinostosi di 2 o più vertebre cervicali con brevità del collo). Ha una evoluzione progressiva. Raramente visibile alla nascita, acquista maggior rilievo tra i 10 e i 20 anni di età. La diagnosi è clinica e radiologica. Il trattamento è generalmente incruento con l’uso di tutori per limitare l’aggravarsi della deformità.
Può derivare da varia cause: disturbi visivi, disturbi labirintici, ascessi oro-faringei e linfoadenopatie cervicali (Sindrome di Grisel), epilessie, distonie, miopatie, patologie reumatologiche, traumi cervicali. Il trattamento è sintomatico ed è ovviamente diretto alla causa primaria del torcicollo.
Preoccupazione frequente nei genitori, il piede piatto è la prima causa di visite ortopediche pediatriche. Il piede piatto è un abbassamento di entità variabile dell’arcata plantare interna. Il piede piatto si verifica soprattutto per iperlassità legamentosa e per ipotonia secondaria dei muscoli cavizzanti.
Classificazione del piede piatto: 1. Piede piatto-valgo lasso funzionale
2. Piede piatto congenito
3. Piede piatto acquisito (adulto)
Piede piatto-valgo lasso funzionale
Il piede piatto-valgo lasso funzionale è definito dall’ appiattimento dell’arco longitudinale interno del piede con valgo-pronazione del calcagno. È una condizione legata alla maggiore elasticità delle strutture capsulo-legamentose del piede e all’abbondanza di tessuto adiposo sottocutaneo della regione plantare, tipica dell’età infantile. Il piede piatto dell’infanzia per i motivi sopra citati non deve essere considerato un dismorfismo, una patologia, ma bensì un paramorfismo. Il piede piatto lasso è un reperto clinico frequente nei primi due anni di vita e con discreta frequenza fino all’età di 6-7 anni, per poi risolversi spontaneamente nell’80% dei casi senza alcun trattamento. La diagnosi è semplice ed è clinica. All’evidenza dell’appiattimento della volta plantare e al valgismo del retropiede, facendo posizionare il paziente sulle punte, ovvero stimolando l’attivazione delle strutture cavizzanti attraverso la flessione dorsale passiva dell’articolazione metatarso-falangea del I raggio del piede (jack-toe raise test sul podoscopio), si osserverà la formazione della volta plantare. È importante valutare la rigidità del retropiede affrontando la pianta del piede destro con il sinistro quando il paziente è fuori carico, oppure valutando l’escursione angolare del retropiede dall’appoggio plantigrado al sollevamento sulle punte. Nella normalità, ove non esista rigidità delle strutture del retropiede, l’angolo tibio-calcaneare ha un atteggiamento in valgismo di 5°-15°, mentre sollevandosi sulle punte un atteggiamento in varismo di 0°-10°. Il piede piatto lasso funzionale non dolente non necessita di alcun trattamento ortesico (plantari) poichè non determina alcun danno funzionale. Lo sviluppo e la maturazione del piede non è influenzato dall’utilizzo di plantari. Un eventuale trattamento ortesico o chirurgico è da riservarsi allorchè il piede piatto lasso diventi dolente, e comunque al raggiungimento della maturità scheletrica.
Il piede piatto congenito è una malattia caratterizzata da piattismo della volta longitudinale mediale con valgismo del meso-retropiede, rigidità delle articolazioni del tarso, dolore e contrattura dei muscoli estensori e pronatori del piede L’affezione è dovuta ad una sinostosi (unione, non disgiunzione) congenita tra due ossa tarsali. Il piede piatto congenito è un dismorfismo non un paramorfismo. Nel 60% dei casi è bilaterale, più frequenti nel sesso maschile. Le sinostosi si distinguoni in 2 tipi: Completa o Tipo I, ove il ponte osseo sia senza soluzione di continuo; Incompleta o Tipo II, ove il ponte osseo sia interrotto da uno strato di tessuto fibrocartilagineo o fibroso. Pur essendo una affezione congenita, di norma, si evidenzia durante l’adolescenza, quando aumentano le sollecitazioni meccaniche ed il peso corporeo. L’esame obiettivo ricalca quello descritto per il piede piatto lasso, ma in questo caso metteremo in evidenza dolore, contrattura muscolare e limitazione articolare. L’esame radiografico in questo caso è indicato, in ortostatismo nelle proiezioni standard ed oblique a 45°. Il Gold Standard è rappresentato dall’esame TC; eventualmente, in casi selezionati, può essere presa in considerazione la scintigrafia ossea. Una volta posta la diagnosi, il trattamento iniziale è di tipo incruento per 3-6 mesi, con riposo funzionale e prescrizione di un plantare morbido per il sostegno della volta plantare. La chirurgia è da riservarsi ai casi resistenti al trattamento conservativo, da eseguire tra 10-13 anni di età (resezione della sinostosi ed interposizione di tessuto muscolare o adiposo nella sede di resezione).
Il termine di piede torto congenito indica uno stabile atteggiamento viziato del piede per alterazione dei rapporti reciproci tra le ossa che lo compongono cui si associano alterazioni capsulari, legamentose, muscolo-tendinee e delle fasce, con conseguente modificazione dei normali punti di appoggio ed alterazione della funzione.
Fra le malformazioni congenite il piede torto è la più diffusa ed interessa prevalentemente il sesso maschile (1 su 1000 nati in Italia, con un rapporto di 3 a 1, più frequente al sud e nelle isole). Spesso è bilaterale, ed in alcuni casi se ne è potuta constatare la familiarità.
La eziologia è ancora ampiamente discussa, probabilmente multifattoriale, ovvero intervengono cause di tipo genetico e ambientale. Una prima teoria la definisce un vizio di formazione embrionaria. Una seconda teoria, neurologico-miopatica, farebbe risalire la malformazione ad un danno midollare con conseguente squilibrio muscolare che determinerebbe la deformità. Una terza teoria, meccanica, si realizzerebbe una compressione durante la vita embrionale, cioè durante i primi tre mesi di gravidanza, periodo in cui il piede è atteggiato fisiologicamente in equinismo, varismo, adduzione e supinazione.
Quando parliamo di piede torto congenito ci riferiamo solitamente alla varietà equino-cavo-varo-addotto-supinato che è di gran lunga la più frequente (70% dei casi). Accanto a questa esistono altre varietà congenite, meno frequenti:
- metatarso varo o addotto (15%)
- talo-valgo-pronato (10%)
- piatto reflesso-valgo o “a dondolo” (5%)
In fase iniziale le alterazioni morfologiche scheletriche sono minime e ricordano le forme normali dell'embrione; vanno poi accentuandosi con il passare dei mesi e degli anni. Anche la tibia subisce delle modificazioni incurvandosi ed intraruotando. I muscoli si presentano ipotrofici ed in parte accorciati, mentre la gamba assume una forma conica caratteristica. A seconda dell'entità della malformazione si distinguono tre gradi di piede torto di gravità crescente:
-I Grado: la deformità è modica e correggibile manualmente;
-II Grado: il piede forma con la gamba un angolo di 90° e la correzione passiva manuale è difficile;
-III Grado: la deformità è rigida e non corregibile manualmente e il piede poggia al suolo con la faccia dorsale.
Col trascorrere degli anni, sui punti di appoggio anormali si formano callosità e borse sierose reattive che rendono la deambulazione difficile e dolorosa.
La diagnosi è sicuramente clinica, alla nascita. Gli esami radiografici in proiezione dorsoplantare, laterale ed eventualmente assiale del calcagno, sono utili nella programmazione terapeutica degli esiti.
La terapia deve essere precoce. Sono state descritte numerose tecniche di manipolazione, attualmente il “gold standard” è la tecnica descritta dal Prof Ponseti. Consiste in manipolazioni quotidiane per 7-10 giorni, seguite dal confezionamento di apparecchi gessati femoro-podalici progressivi con cui si correggono in maniera seriale le diverse componenti della deformità. Gli apparecchi gessati si rinnovano ogni 7-15 giorni. L’unica componente a non essere corretta con l’apparecchio gessato è l’equinismo, poiché la pressione esercitata nella manovra correttiva potrebbe determinare la necrosi asettica dell’astragalo che si troverebbe schiacciato tra il calcagno ed mortaio tibiale. Entro il 4°-6° mese si esegue pertanto l’allungamento percutaneo del tendine d’Achille. Nelle forme più rigide di piede torto congenito, ed in caso di recidiva, si rende necessario il trattamento chirurgico sulle parti molli ed eventuali osteotomie correttive. Al raggiungimento della maturità scheletrica del piede (16-18 anni), qualora permangano deformità tali da limitare la funzionalità del piede, si rende necessario l’intervento di triplice artrodesi (artrodesi delle articolazioni sotto astragalica, astragalo-scafoidea e calcaneo-cuboidea).
Piede piatto congenitoMetatarso Addotto
La deformità si limita all’avampiede che si presenta addotto per deviazione verso l’interno dei raggi metatarsali e delle dita. La terapia si basa nei casi più lievi alle sole manipolazioni poiché è possibile una correzione spontanea. Nei casi più accentuati si applicano apparecchi gessati correttivi e successivamente apposite scarpe ortopediche con snodo medio-plantare.
Piede Talo-Valgo
Deformità del piede in massima flessione dorsale. La flessione plantare è possibile sono passivamente. Tende alla correzione spontanea con sole manipolazioni di supporto ma in alcuni casi si possono utilizzare docce gessate dorsali che mantengono il piede in flessione plantare.
Piede Reflesso-Valgo (“A Dondolo”)
Deformità grave del piede caratterizzata dall’inversione della volta plantare longitudinale. La terapia si basa su manipolazioni correttive, apparecchi gessati, tenotomie ed artrodesi nelle forme inveterate.
1. Il piede torto congenito è la malformazione congenita più diffusa.
2. La diagnosi e il trattamento precoce del piede torto congenito danno risultati positivi nella maggior parte dei casi.
3. Il metodo di Ponseti è il gold standard del trattamento del piede torto congenito.
4. Il piede piatto lasso funzionale non è una patologia ma un paramorfismo che non necessita di trattamento ortesico e chirurgico.
5. La diagnosi differenziale del piede piatto lasso funzionale va fatto con il piede piatto dolente e con il piede piatto congenito.